12 giugno 2008
Il Canada chiede scusa agli indiani
Per un secolo sono stati torturati e sterminati nei lager
Picchiati. Immersi in acqua bollente. Costretti a cibarsi di vivande andate a male o avvelenate. Appellati in tutti i modi possibili. Perchè erano inferiori ai bianchi. Molto meno di loro. Selvaggi. Da imbottire di botte fino alla morte. O di farmaci come topi da laboratorio. Sterilizzati o confinati in luoghi impestati dalla tubercolosi. Strangolati. Scaraventati fuori dalle finestre. Gettati giù dalle scale a furia di calci e spintoni. Eccola, la sorte dei nativi americani cresciuti in terra canadese. Schiavi o cadaveri, a loro la scelta. A leggere i resoconti di questo sterminio viene più che la pelle d'oca. Cresce la rabbia, e lo sdegno. Uccidere l'indiano che è dentro gli indiani. Era questo il senso dello sterminio. E queste erano le parole precise di Duncan Campbell Scott. Non un carnefice, ma un addetto ai lavori. Il sovrintendente agli affari Indiani di Ottawa, per la precisione. Ma quello era un Canada che oggi non c'è più. Parola di Stephen Harper, primo ministro. Uno che si è candidato con successo alla giuda di un paese immenso e multiforme. Uno che oggi fa i conti col passato della sua terra. E che passato. Pagine buie per un capitolo di puro orrore. Il genocidio canadese del quale nessuno ha mai sentito parlare.
Chiede scusa Harper. Lo fa ritto in piedi, la voce rotta dall'emozione. Nella sala del Parlamento della capitale, "una camera così importante per la nostra vita di nazione". Di fronte a 11 tra i capi degli aborigeni locali. E sotto lo sguardo di 200 poveri diavoli, ex studenti di istituti dell'infamia gestiti dallo Stato per la maggior gloria della patria canadese di un tempo. Perchè per un secolo qui ha regnato una follia silente. La stessa che ha braccato, arrestato e rinchiuso 150mila bambini di etnia First Nation, Inuit e Metis in fantomatiche scuole rette dal governo o dalla chiesa. 132 campi di sterminio eretti e collaudati per annichilire i popoli. Un'unica politica di assimilazione forzata portata avanti mediante lo sradicamento del diverso. Un secolo intero di abusi, compiuti in fretta e altrettanto in fretta occultati alla vista del mondo. Ma oggi sorge un'alba nuova per il Canada. Sarà un giorno dorato, forse. Perchè oggi Ottawa chiede scusa.
"Questo tipo di misure è assolutamente errato, ha causato danni enormi e non ha ragione d'essere nel nostro paese" ha detto Harper. "Per conto del governo del Canada e di tutti i canadesi, io chiedo perdono alle popolazioni indigene del ruolo giocato dall'amministrazione nel sistema delle Scuole Residenziali" ha continuato. Sopprimere l'indiano colpendo là dove l'identità è più debole. Addosso ai bambini. Sradicare dalle loro menti innocenti e dai loro giovani corpi ogni "indianità". Il mezzo non contava affatto. Il fine invece sì. Sofferenze fisiche, disagio psicologico, abusi sessuali. Suicidio e dipendenza da droghe o alcol. Andava bene tutto. Bastava per far sparire quella macchia immonda dall'immagine linda del Paese. Culture e costumi e linguaggi, tutto da buttar via. Famiglie e comunità e sentimenti, orpelli di cui disfarsi una volta per tutte. Così il Canada di allora si era preparato al genocidio culturale. Addosso ai parti scomodi della patria. Addosso ai figli di un dio minore.
Ascoltando il discorso di Harper sembra di assistere al passaggio di un vento nuovo. Lo stesso che ha ispirato non molto tempo fa Mr. Kevin Rudd, l'uomo della riconciliazione australiana con gli aborigeni. Sembra proprio che il mondo si stia lentamente destando dal torpore ignorante della segregazione. E il Canada va anche oltre le scuse formali. 2 miliardi di dollari sono stati stanziati nei confronti degli indiani. Di 80mila vittime della politica di assimilazione. Di decine di migliaia di ex internati nei gironi delle Scuole Residenziali. Un'inferno che ha smesso definitivamente di esistere solo nel 1996, quando sono stati apposti i sigilli all'ultimo istituto, nella provincia di Saskatchewan. Di scuole e rieducazione ne sa davvero parecchio, Phil Fontaine. Prima di avviarsi all'aula del Parlamento di Ottawa ha voluto camminare a lungo accanto allo scheletro annerito dal tempo dinuno di quegli edifici, la Fort Alexander di Manitoba. Passo dopo passo, si è trovato a ricordare, i pugni stretti e le lacrime agli occhi.
Oggi Fontaine è un capo, e presiede l'Assemblea dell'etnia First Nation. Ma non è sempre stato così. Il grande capo è stato un piccolo uomo. C'è stato un tempo oscuro nella sua vita di bambino nella riserva Sagkeeng, ad appena 4 chilometri da quelle rovine orride. E' stato allora che ha conosciuto la rieducazione di Stato. L'ha vissuta annaspando negli angoli sudici del dormitorio da cento e più posti. L'ha ascoltata nei lamenti notturni dei suoi compagni di sventura. E oggi, una vita dopo e ad anni di distanza, non vede proprio l'ora di dire basta. Esattamente come un milione e mezzo di indiani. Come Harper. E come i 33 milioni di canadesi che assistono alla riconciliazione nelle piazze del Paese, radunati esterrefatti di fronte ai maxi-schermi approntati per l'occasione. Sono due mesi che il Canada attende quest'ora fatale. Da quando è stata istituita una commissione speciale, con il preciso compito di indagare sul secolo oscuro.
Da quando a capo di essa è stato posto per acclamazione Harry LaForme, uno che ce l'ha fatta. L'unico indiano nominato giudice di Corte d'Appello. La commissione è stata creata grazie ad uno stanziamento record da 4.9 milioni di dollari, ma c'è che giura che si tratti di soldi spesi bene. Ne sono convinti i rappresentanti indigeni. Ma sembrano dello stesso avviso il governo e perfino le confessioni religiose, che secondo indiscrezioni rischiano parecchio. Civilizzare gli aborigeni era infatti una missione che si coniugava non di rado con la cristianizzazione. In un tempo remoto gli aguzzini del popolo indigeno vestivano anche la tonaca. E muovevano una guerra spietata agli indigeni non cristiani, inferiori legalmente e moralmente. Per loro era prevista l'estinzione culturale. O quella fisica. Le chiese giunsero a fornire bambini a chi ne facesse richiesta per esperimenti medici, governo compreso. La cavie venivano sottratte agli istituti con l'avallo e la collaborazione fattiva della Royal Canadian Mounted Police.
Manicomi venivano riempiti con giovani orfani ignari. Sacrificabili, si diceva di loro. Merci di scambio in un traffico assai florido, se si considera che settori come quello militare o di intelligence si dimostravano particolarmente generosi quanto a sovvenzioni. Kevin Annett oggi ha 64 anni. E' un reverendo. E un attivista nella ricerca di prove del genocidio canadese. Gira per il paese in cerca di testimonianze. Fa interviste. Raccoglie documenti. Prende nota. Ma continua a rabbrividire e tremare ogni volta che ascolta le voci dell'orrore. Ogni volta che è costretto a sentire di fili e lenze da pesca stretti attorno agli organi genitali dei bambini. O di aghi inseriti nelle loro mani, guance, lingue, orecchie. Di immersioni repentine in acqua ghiacciata o capelli strappati a forza dalle teste. Suda e digrigna i denti al pensiero di bambini colpiti senza preavviso con fruste, bastoni, finimenti da cavallo, stecche da biliardo, tubi di ferro. Estrazioni di denti senza analgesici o scosse elettriche regolari.
Lo spettro dell'infame Josef Mengele si compiacerebbe al cospetto di Ewen Cameron, lo psichiatra canadese della morte. Stessi feroci metodi, medesimo sadismo visionario. La stessa morbosità. Eppure padre Annett continua a scavare. Non ha più paura. Perchè lui sa. Sa che quella barbarie senza nome emersa in tutta la sua cruda durezza a Nanaimo e Kuper Island, in Ontario e nella British Columbia ha una fine. Sa che ogni giorno è un giorno buono per fare più luce. E che da oggi sono in molti In Canada a essere stanchi di quella tenebra orribile.
S.P.
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NATIVE AMERICANS 4 OBAMA !
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